QUARTO POTERE – O. Welles
Ci siamo: sono guai. Grossi guai. Un venticinquenne debutta alla regia e gira quello che è ritenuto da molti il miglior film della storia. Rivoluziona la tecnica cinematografica e rifonda il Cinema. Affronta l’ambiguità del sogno americano, della difficoltà del vivere e molto altro attraverso un giallo metafisico. E un, voluto, errore logico. Non ha successo (ma più di quel che si tramanda) ma passa alla storia. Regista, Attore, Sceneggiatore, Produttore… Orson Welles!
LA STORIA
Xanadu: Charle Foster Kane, magnate dell’editoria muore nel suo letto. La sua ultima parola, pronunciata guardando una sfera di cristallo, è “Rosebud”. Un giornalista viene incaricato di decifrare quest’insolito messaggio finale. Durante l’indagine interrogherà la seconda moglie di Kane. Ma anche il braccio destro di Kane, il suo migliore amico ed infine il Maggiordomo. Ognuno di questi racconterà la vita di Kane secondo la propria esperienza. Regalando al pubblico, ed all’investigatore, cinque visioni differenti dello stesso uomo e della medesima esistenza. Purtroppo nessuna di queste versioni riuscirà a svelare il significato dell’ultima parola pronunciata dal morente Kane. Una delle ultime inquadrature svelerà al pubblico (ma non ai protagonisti) il mistero di Rosebud.
L’AUTORE
Raccontare Orson Welles… non è un scherzo da poco. Americano come i fast food ha letteralmente dovuto lavorare spesso e volentieri in Europa. Questo a causa del suo miglior film: “Quarto Potere”. La sua carriera esplose a ventitré anni con uno scherzo radiofonico. Fece credere agli statunitensi che fosse in corso un’invasione marziana. Invece che in galera, finì ad Hollywood. Contratto RKO e totale libertà artistica. Finita quell’esperienza dovette passare il resto della vita a fare di tutto nel cinema per finanziare i progetti personali. Realizzando, fra gli altri, “L’infernale Quinlan” e “Otello“; ma non riuscendo realizzarne molti altri come “Don Qiuxote”. Dopo l’Oscar del ’42, praticamente all’esordio, ne ricevette anche uno alla carriera nel ’71. Morì, in linea con se stesso, poche settimane prima di concludere un progetto. Voce di Robin Masters nel telefilm “Magnum p.i.“: morì senza girare le scene in cui si sarebbe rivelato.
LA PRODUZIONE
Welles con Quarto potere rivoluziona di fatto la tecnica cinematografica del cinema delle origini. Rielabora meccanica, ottica ed illuminotecnica. Si ispira, migliorandola, alla tecnica di Griffith. Fa un uso del chiaroscuro espressionistico che prende da Lang e mette al centro dell’attenzione la profondità di campo. Si dice che durante le riprese abbia guardato una quarantina di volte “Ombre rosse” di Ford!. Fa un uso importante del piano sequenza e sopratutto se ne infischia del tempo lineare della narrazione. Non solo salta in avanti e indietro nel tempo della storia. Racconta due volte, da angolazioni diverse, lo stesso episodio. Infine, forse sopratutto, trasforma la cinepresa da elemento oggettivo, asettico, a punto di vista del regista. Facendola girare per il set indipendentemente da tutto. Tutto quello che non interessa lui.
E QUINDI
Jorge Luis Borges lo definì un “giallo metafisico”, sottolineando come fosse più un indagine allegorica su l’uomo che altro. Il che la dice abbastanza lunga sulla pellicola. Moltissimi hanno provato ad interpretarlo. Alcuni definendo la morte immediata di Kane come la morte del cinema classico. Senz’altro Welles con questo film evidenzia tutte le ambiguità del sogno americano. Compreso il successo: che lì per lì ebbe a metà; grazie sopratutto al boicottaggio che ricevette da parte di William Hearst. Che non digerì le evidenti similitudini con la sua biografia. Difficile giudicare un capolavoro del genere. La sola cosa che si può dire è: guardatelo, merita. Persino Truffaut ammise che era uno di quei cineasti che avevano deciso di far cinema dopo aver visto “Quarto Potere”.
JA
[COPYRIGHT IMMAGINI]: “Citizen Kane“, Orson Welles – USA, 1941
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